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pietrepiume

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  1. AAAAAAAAAGH, la tegenaria!!! Mi fa schifissimo! Quando i miei si sono trasferiti in campagna (io povera adolescente abituata agli appartamenti di città!) è stato il mio primo "TRAUMA"... Li chiamavo "i ragni con le ossa", uscivano dal vecchio pozzo, dalla cantina, da ovunque... Meno male ora non ne vedo quasi più... Ora almeno grazie ad Andrea so come si chiama... quell'alieno gigante!
  2. A me danno solo un enorme fastidio... Ma una mia amica in particolare quando ne vede una inizia a strillare come una pazza e chiama in aiuto qualcuno (ad esempio la sottoscritta... sigh!) perché glie la "allontani"!!! Anche mia madre ne è orripilata... A furia di sentire tutte strillacchiare, mi è passata la voglia di averne timore (di cosa, poi???) e, volente o nolente, sono stata promossa "Allontanatrice ufficiale di cimici"...
  3. ...questo link forse va bene? http://www.isopoda.net/articoli/mantidi_italiane.html
  4. Splendido questo post! I miei genitori vivono in campagna e, nel "periodo giusto", mi capita spesso di vedere splendidi esemplari di mantidi (verdissime o marroni), che talvolta si spingono fino a dentro casa. Un giorno me ne sono trovata una ad altezza occhi, sul muro. Dopo i primi timori ho preso coraggio e, con mia sorella (che nulla teme!), l'ho presa e messa sul palmo della mano, abbassandomi rasoterra. Lei mi fissava e girava il testolino triangolare a destra e sinistra. Aveva talmente POCA PAURA che ha visto una mosca posata poco distante e ha sferrato un attacco in diretta! Inutile dire che dal canto mio... ho fatto un balzo all'indietro, spaventata come una mammoletta. Ora mi è venuta la curiosità di saperne di più... Cercherò sul web qualcosa a proposito delle loro abitudini... Anzi, se qualcuno vuole consigliarmi un bel sito...
  5. Con Meier dialogavo: si faceva capire meglio di un essere umano. Parlava, direi quasi. Nei weekend lo portavo in campagna e il suo istinto felino di cacciatore è sbocciato in tutto il suo fulgore. Catturava topini e insetti (a volte anche qualche povero uccellino) e me li portava in dono. Ho capito che sarebbe vissuto meglio lì, e l'ho affidato ai miei genitori promettendogli di andare a trovarlo ogni fine settimana. La sua vita è diventata una vera pacchia: dall'appartamentino è passato alla cascina, con altri gatti e qualche cane. Un luogo da esplorare, e di notte una poltrona tutta per lui, al calduccio. Quando arrivavo, di sabato, mi aspettava all'imbocco della strada sterrata. Immobile. Io mi fermavo, lui saliva sul cofano e lo "trasportavo" fino a casa. Scendevo e veniva a baciarmi, poi mi seguiva come un'ombra fino al giorno seguente. Di notte dormiva con me e, quando usciva, tornava con i soliti "regalini". Quando ripartivo si piazzava davanti alla macchina e dovevo cacciarlo per non farlo finire sotto alle ruote. Ma un giorno è successo qualcosa di totalmente imprevisto. Mia madre mi chiamò dicendomi che erano 4 giorni che non si faceva vivo. Arrivai in cascina il sabato e lui non c'era. Venne più tardi del solito e, con aria afflitta, si accovacciò sulla poltrona. Accarezzandolo scoprii che aveva un'enorme ferita sull'addome, vecchia di qualche giorno. Lo stupido era rimasto in giro senza mangiare, ferito, per tutti quei giorni! Lo portammo dal veterinario. Era troppo tardi. La ferita era stata causata dalla lotta con un animale selvatico, forse una volpe o una faina. Era infetta. Gli antibiotici? Inutili. Lo portai a casa, gli feci flebo e punture per alcuni giorni. Restava immobile, appena mi avvicinavo alzava il capo tutto tremolante, quando lo accarezzavo accennava a fatica le fusa, era a pezzi. Gli occhi erano lucidissimi, con quello sguardo che parlava. Che mi diceva addio. Ripartii, nel cuore portavo una speranza cieca, insulsa, un sogno irrealizzabile: che avvenisse un miracolo, che guarisse. Mezz'ora dopo la mia partenza mi chiamò mia madre: Meier... era morto.
  6. pietrepiume

    Storia Triste...

    Ciao a tutte/i... Voglio raccontarvi la storia di un gatto davvero speciale: una storia triste, forse simile a mille altre, ma che ha segnato la mia vita con una forza che mai avrei potuto immaginare. Durante i primi anni dell'università andai ad abitare in una cittadina non lontana da Milano, molto "chiusa": avevo pochi amici - quelli che studiavano con me -, che vedevo raramente perché abitavano altrove e ai tempi potevo spostarmi solo in treno. Un giorno feci un giro di perlustrazione di questa città un po' squallidina e, per puro caso, passai davanti a uno studio veterinario. In "vetrina" vidi una gabbietta, sulla quale c'era scritto: "Portatemi a casa, altrimenti dovranno sopprimermi". Al suo interno c'era un esserino microscopico con le orecchie lunghissime, la coda lunghissima e le zampottone sproporzionate. Miagolava come un pazzo e si arrampicava frenetico sulle sbarre della gabbia, restando appeso anche al contrario, peggio di una scimmietta. Ovviamente entrai. E me lo portai a casa. Meier (il nome del mio architetto preferito, che progetta edifici prevalentemente bianchi e grigi... i colori del gattino in questione) passò i primi due giorni a miagolare. Miagolava camminando, miagolava mangiando, miagolava facendo pipì, miagolava quando lo accarezzavo, miagolava mentre giocavamo. Il terzo giorno smise: si era tranquillizzato, aveva capito che non lo avrei mai abbandonato. Con il tempo diventò sempre più grande e bello, snello e lunghissimo, dal corpo affusolato e dallo sguardo furbetto e dolcissimo. Lo adoravo e lui adorava me: era un gatto ruffianissimo... (continua...)
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