Con Meier dialogavo: si faceva capire meglio di un essere umano. Parlava, direi quasi.
Nei weekend lo portavo in campagna e il suo istinto felino di cacciatore è sbocciato in tutto il suo fulgore. Catturava topini e insetti (a volte anche qualche povero uccellino) e me li portava in dono. Ho capito che sarebbe vissuto meglio lì, e l'ho affidato ai miei genitori promettendogli di andare a trovarlo ogni fine settimana. La sua vita è diventata una vera pacchia: dall'appartamentino è passato alla cascina, con altri gatti e qualche cane. Un luogo da esplorare, e di notte una poltrona tutta per lui, al calduccio.
Quando arrivavo, di sabato, mi aspettava all'imbocco della strada sterrata. Immobile. Io mi fermavo, lui saliva sul cofano e lo "trasportavo" fino a casa. Scendevo e veniva a baciarmi, poi mi seguiva come un'ombra fino al giorno seguente. Di notte dormiva con me e, quando usciva, tornava con i soliti "regalini".
Quando ripartivo si piazzava davanti alla macchina e dovevo cacciarlo per non farlo finire sotto alle ruote.
Ma un giorno è successo qualcosa di totalmente imprevisto. Mia madre mi chiamò dicendomi che erano 4 giorni che non si faceva vivo.
Arrivai in cascina il sabato e lui non c'era. Venne più tardi del solito e, con aria afflitta, si accovacciò sulla poltrona. Accarezzandolo scoprii che aveva un'enorme ferita sull'addome, vecchia di qualche giorno.
Lo stupido era rimasto in giro senza mangiare, ferito, per tutti quei giorni!
Lo portammo dal veterinario.
Era troppo tardi.
La ferita era stata causata dalla lotta con un animale selvatico, forse una volpe o una faina. Era infetta. Gli antibiotici? Inutili.
Lo portai a casa, gli feci flebo e punture per alcuni giorni. Restava immobile, appena mi avvicinavo alzava il capo tutto tremolante, quando lo accarezzavo accennava a fatica le fusa, era a pezzi. Gli occhi erano lucidissimi, con quello sguardo che parlava.
Che mi diceva addio.
Ripartii, nel cuore portavo una speranza cieca, insulsa, un sogno irrealizzabile: che avvenisse un miracolo, che guarisse.
Mezz'ora dopo la mia partenza mi chiamò mia madre: Meier... era morto.